Maclura pomifera

Vi sara’ forse capitato, passeggiando in autunno nei parchi e nei giardini ottocenteschi, di imbattervi in questi strani frutti, tondi e bitorzoluti, caduti a terra. Appartengono a Maclura pomifera, un albero di 7-15 metri di altezza dalla chioma folta ma irregolare.

Ha foglie caduche, alterne, verde scuro, acuminate, coriacee, lucide, vagamente simili a quelle del limone o dell’arancio e come questi ultimi presenta lungo il tronco e all’ascella fogliare grosse spine acuminate, anche oggi se ne esistono cultivar che ne sono prive. E’ una specie dioica, ovvero produce i fiori maschili ed i fiori femminili su esemplari differenti, in grandi infiorescenze verdastre, a primavera inoltrata. In estate ai fiori seguono i frutti: simili a grosse arance, verdi e poi giallastre, con una buccia ricoperta da piccole protuberanze e un delicato profumo d’arancio, si tratta in realta’ in infruttescenze, dette sorosio, formate da un insieme di acheni ognuno derivante da un diverso ovario. Di diametro variabile da 7 – 15 centimetri, colore variabile dal giallo al verde, consistenza legnosa, contiene una polpa biancastra dal succo lattiginoso.

Appartenente alla famiglia delle Moraceae, e’ originario del Nordamerica, dove e’ chiamato Osage orange, “arancio degli Osage”, per la sua somiglianza con Citrus aurantiacum e perche’ il suo legno, flessibile, elastico e durevole veniva utilizzato dagli Indiani d’America e in particolare dalla tribu’ degli Osage, per costruire archi (motivo per cui nel Lazio viene anche chiamato “legno d’arco”) e vari utensili, e le radici per ricavarne un pigmento giallo con il quale tingersi il volto e i tessuti. Thomas Nuttall, tra i piu’ importanti botanici americani, lo descrisse nel 1811 e gli diede il nome dell’amico geologo William Maclure.

Maclura pomifera fu introdotto in Europa di li’ a poco, nel 1818, e in Italia nel 1827, dove si diffuse soprattutto in Toscana, Lazio e Lombardia; in particolare, dalla meta’ dell’800, quando si provo’ a coltivarlo per utilizzarne le foglie per nutrire i bachi da seta, in virtu’ della sua appartenenza alla stessa famiglia del gelso (Morus spp.). L’esperimento falli’, e le piante di maclura rimasero nei parchi e nei giardini come ornamento, a questo soprannominate anche “gelso degli Osage”. Si provo’ anche a utilizzarne i frutti, che, per quanto non velenosi, pero’ non sono commestibili e anzi possono causare il vomito, anche se gli scoiattoli ne gradiscono i piccoli semi in essi contenuti.

Rita Paoli del vivaio Le Rose di Firenze ne ricorda e promuove l’usanza di realizzarvi siepi invalicabili, data la sua spinosita’, assieme a Poncirus trifoliata, aggiungo io, agrume molto bello e rustico, ma decisamente feroce.

 

 

 

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