Botanical Dry Garden e la topiaria contemporanea

Topiaria nel Botanical Dry Garden (foto di Luca Agostini)

La foto che vedete, postata da Luca Agostini, del vivaio Mates Piante, a Grosseto, e da me subito rubata, mi ha offerto l’occasione di parlare sia del suo meravigliso giardino dimostrativo annesso al vivaio, il Botanical Dry Garden (guardate il post Il Giardino all’asciutto), sia di un tema che mi sta molto a cuore: le piante da utilizzare nell’arte topiaria contemporanea. Un argomento, quello dell’ars topiaria, che mi ha sempre molto affascinato e sul quale ho avuto la fortuna, e l’ardire, di scrivere un libro, anni orsono, assieme alla mitica Cristina Serra Zanetti, botanica e paesaggista sopraffina: Topiaria e sculture verdi, Fabbri Editori, 1996 (sigh…). Libro che tra l’altro – concedetemi di vantarmene – venne tradotto poco dopo in inglese, fatto assai raro: e Topiary Basic, pubblicato da John E. Esley nel 1999 non solo in Inghilterra è ancora in circolazione, ma è anche tra i testi divulgativi consigliati dalla Royal Horticultural Society alla voce Ars Topiaria (di quella traduzione che tanto ci onorò Cristina ed io abbiamo perso subito i diritti, grazie all’efficenza del sistema editoriale, ma questa è un’altra storia…).

Senza volermi ora addentrare nel mondo sconfinato della topiaria, il punto è questo: nonostante le origini antichissime, le alterne fortune nel corso dei secoli e le modalità d’espressione a tratti troppo fantasiose se non grottesche, l’arte di plasmare le piante con le cesoie è ancora oggi profondamente attuale. In particolare, oltre all’utilitá delle siepi formali, dei pergolati e delle spalliere, le singole forme vegetali regalano al giardino punti fermi dal forte valore architettonico e decorativo, ancor più perché prevalentemente sempreverdi. Nel tempo, pur rimanendo tra le più semplici e geometriche, le forme sono cambiate: piramidi, coni, spirali e perfino le sfere hanno lasciato il posto alle semisfere, ai cuscini, ai riquadri, protagonisti della maggior parte dei giardini dimostrativi del Chelsea Flower Show  di Londra degli ultimi tre-quattro anni. Nel frattempo, stanno cambiando anche le piante utilizzate: bandito il povero bosso, dati i suoi recenti problemi, oltre al tasso, al carpino, al faggio, agli osmanti, al mirto, si stanno finalemnte scoprendo tante altre specie legnose adatte allo scopo, “sulla base del portamento, della capacità di reagire alle potature frequenti, le dimensioni e le caratteristiche del fogliame”, in parte elencate tanti anni fa nel nostro libro (a proposito, i deliziosi disegni che potete vedere in due delle pagine fotografate sono opera di mia sorella Ilaria Lombardi, dalla mano fatata).

Trovo magnifica, in particolare, la scelta botanica di Luca Agostini per realizzare la suggestiva successione di grandi forme a cuscino, di dimensioni e sfumature diverse in ambiente mediterraneo: Mirtus communis, Eleagnus ebbingei, Teucrium fruticans, Pistacia lentiscus, Atriplex halimus, Ceanothus ‘Concha’ (mai lo avrei ritenuto possibile), Pyracantha ‘Navaho’, Leucophyllum frutescens, l’insolito (per me) Sarcopoterium spinosum e altri arbusti ancora. Il risultato lo vedete bene: forte, moderno, divertente e inaspettato. Bravo Luca! A tutti voi un consiglio: non perdete l’occasione, se andate da quelle parti, di visitare il Botanical Dry Garden.

1 Commento

  • Camilla Z
    7 Marzo 2017 22:17

    Splendido articolo su un tema che amo molto, adoro questa possibilità di plasmare, dare forma, che è come dare una sorta di nuova identità alle piante. Ed è estremamente suggestiva la foto di Luca Agostini che declina un’arte antica in un linguaggio contemporaneo raffinato.

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