C’é qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d’antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.
Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle querce agita il vento…
(Giovanni Pascoli, L’Aquilone, Poemetti, 1897)
Amo le viole fin da bambina, quando le trovavo nell’orto della fattoria in Toscana della quale un mio zio era il fattore, lungo le rive dei fossi, nei prati e nei boschi dove correvo libera con un stuolo di sorelle e cugini. In Italia, sapete, crescono allo stato spontaneo una quarantina di specie, in parte protette: alcune sono endemiche, talune sono arrivate da Paesi limitrofi, altre ancora sono state importate da molto lontano come piante da giardino e poi si sono naturalizzate. Si ibridizzano molto facilmente fra loro e presentnao una grande variabilità di forma e aspetto, per cui sono state e sonoa ncora un bel rompicapo per i botanici. Alle violette spontanee italiane s’ggiungono le specie esotiche e le cultivar, a fiore semplice e doppio: un mondo infinito!
Comunque, io le amo tanto da averci anche scritto un piccolo libro, molti anni fa, con Francesca Marzotto Caotorta, per Edagricole (ora uscito di stampa), da raccogliere da anni immagini e testi a loro dedicati, e da ostinarmi a coltivarle suo mio ballatoio, con alterne fortune.
Il mio fornitore di fiducia è Pier Luigi Priola, che è stato tra i primi vivaisti a rimettere in produzione le vecchie viole mammole, quelle doppie profumatissime, e in seguito è andato aggiungendo sempre più varietà, antiche e moderne, fino a creare una collezione di una settantina, fra specie, varietà, antiche e moderne, semplici e doppie, nelle diverse sfumature del viola, del bianco e del rosa, tutte più o meno profumate, in fiore da gennaio a marzo, ma alcune, ancor più se protette, anche da ottobre-novembre, e qualcuna fino ad aprile. Anche quest’anno sarà in mostra, e in vendita, ovviamente, l’11 e 12 marzo, nel suo vivaio a Treviso: se siete in zona, non perdetela!
Vi segnalo inoltre un altro libro sulle viole, che vi consiglio di non perdere: Storie di viole, di Chiara Saccavini pubblicato da Youcanprint nel 2014. L’autrice, ricercatrice, poetessa e vivaista friulana (L’Orto Fiorito), racconta con precisione e amore, la botanica, gli aspetti mitologici, simbolici e artistici, la coltivazione, le curiosità, i dettagli, gli alti e i bassi, le luci e le ombre, di questo tenero fiore. Leggetelo, perché è una miniera d’oro di informazioni.
Nel frattempo, mi permetto di sottoporvi il riassunto del’ultimo articolo sulle viole, che ho scritto un paio di anni fa per la rivista Gardenia.
“Sono sempre piaciute, le piccole e tenere viole mammole, e non solo ad anziane signore e fanciulle in fiore, come suggerisce il loro aspetto delicato e romantico. Tra i loro ammiratori vi sono anche molti uomini, come il conte friulano Filippo Savorgnan di Brazzà, che nella seconda metà dell’Ottocento si dedicò alla loro ibridazione. E come Napoleone Bonaparte, da quando, in occasione del loro primo incontro, la bella Giuseppina de Beauharnais gliene regalò un mazzolino e poi le volle ricamate sull’abito da sposa: l’imperatore dei francesi le amò tanto che sotto la Restaurazione divennero l’emblema dei Bonapartisti, in contrapposizione al giglio dei Borbone. (…).
Le varietà semplici, tutte rustiche, derivano da Viola odorata, la classica “mammola”: di origini europee e asiatiche, ma oggi diffusa anche in America, Australia e Africa, fin dall’antichità é stata cantata, dipinta e coltivata per raccoglierne i fiori e preparare ghirlande, unguenti, decotti, dolci e liquori.
Le doppie, più profumate ma più sensibili al freddo, sono invece probabilmente nate a latitudini più calde, da incroci con altre specie, forse originarie della Turchia o della Persia, e in seguito introdotte in Europa da veneziani, portoghesi o arabi. Le prime notizie certe a loro riguardo risalgono soltanto all’inizio del 1700, quando i conti di Brazzà, progenitori del futuro ibridatore, ne portarono una a Udine dalla Catalogna. Nel 1735, viole doppie erano coltivate in Provenza, per estrarne la fragranza, altre crescevano, qualche anno dopo, nell’Orto botanico di Parma. E a Parma sarebbero arrivate dalla Spagna, passando per Napoli, per poi raggiungere la Francia, attraverso le rispettive case regnanti dei Borbone (…).
Nel corso degli anni le violette doppie, simili a profumatissimee roselline color zaffiro con cuore bianco, acquistarono nomi diversi legati ai luoghi dove man mano venivano coltivate (‘Violetta portoghese’, ‘Violetta di Napoli’, ‘Violetta di Parma’, ‘Violetta di Udine’, ‘Violetta di Tolosa’), ma in realtà è possibile che si tratti della medesima varietà, data la forte somiglianza fra tutte e la tendenza ad assumere fisionomie un po’ diverse a seconda degli ambienti in cui crescono.
Fu comunque la Belle Epoque, fra il 1870 e la prima guerra mondiale, il periodo d’oro per le mammole, semplici o doppie che fossero. Il mazzolino di violette appuntato alla scollatura degli abiti delle dame e all’occhiello di quelli di eleganti signori divenne un protagonista della vita mondana.
Predilette da Eleonora Duse, che perfino scriveva con inchiostro viola, le viole venivano coltivate in grandi distese o, le più delicate, sotto protezione, in particolare in Provenza, nell’Inghilterra meridionale, negli uliveti liguri, nelle serre parmensi, nei giardini friulani.
Alcuni ibridatori dell’epoca diedero vita a molte nuove varietà, a cominciare dal conte di Brazzà, famoso per proteggere le sue beneamate dal freddo coprependole con gusci d’uovo: incrociando una doppia di colore blu-viola con una specie bianca spontanea trovata in Maremma, nel 1875 ottenne la celebre ‘Viola di Brazzà’ o ‘Conte di Brazzà’, oggi tra i fiori all’occhiello della collezione di Priola. Altre belle mammole doppie dell’epoca sono Neapolitan’, probabilmente la capostipite delle varieta europee; ‘Marie-Louise’, con fiori celesti punteggiati di rosso, e ‘Duchessa di Parma’, viola-blu, dedicate a Maria Luisa d’Asburgo, seconda moglie di Napoleone, che molto si adoperò per la produzione delle viole nel Granducato di Parma e Piacenza; ‘Lady Hume Campbell’, ‘Gloire de Verdun’, ‘Reine de Blanches’, amatissima in epoca vittoriana, ‘Rose Bruneau’, in fiore da ottobre a maggio.
Tra le violette semplici ottocentesche vi sono ‘Goethe’, bianca soffusa di rosa e blu chiaro, trovata dal poeta nel suo giardino a Weirnar; ‘Princesse de Galles’, con fiori grandi, blu-lilla, su lunghi steli; ‘La France’, dal 1891 la più coltivata in Francia per la produzione di fiori recisi; ‘Victoria Regina’, preferita invece in Inghilterra: creata dall’ibridatore George Lee nel 1873, la dedicò all’allora sovrana, tanto appassionata di violette che nelle serre del castello di Windsor ne fece piantare più di tremila.
Oggi, dopo il dopo il calo di interesse durante le due guerre mondiali, le violette hanno ripreso a incantare amatori, vivaisti e soprattutto ibridatori, europei, ma anche australiani e neozelandesi, che stanno producendo nuove cultivar molto interessanti. Tra le piu recenti a fiore semplice, vi sono ‘Elsrneer’, celeste, in fiore da novembre ad aprile, ‘Lydia’s Legacy’, color carminio, ‘Madame Armandine Pages’, rosa; Paustraliana ‘Empress Augusta’, robusta, profumata e molto fiorifera; la neozelandese ‘Iosephine’, rosa fucsia, un po’ delicata, ‘Becky Groves’, rosa pallido, ‘Annie’, rosa scuro…Tra le doppie, ‘Ashvale Blue’ e ‘Bethan Davis’, bianco-azzurrine, e Paustraliana ‘Ferdnale’, dai fiori bianco avorio spruzzati di puntini blu”.
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