Tra le piante spontane che s’incontrano facilmente lungo la nostra Penisola, dalla Siclia fino a 2100 metri di altitudine sulle nostre Alpi, nei terreni asciutti e calcarei, lungo i sentieri, nei pascoli e negli incolti, c’è il Cardo scardaccio (Cirsium eriophorum), erbacea perenne dalla forte presenza architettonica come del resto il carciofo (Cynara cardunculus) e il cardo (Cynara cardunculus altilis), tutti appartenenti alla grande famiglia delle Asteraceae.
Alto da 50 ma più facilmente 150 centimetri, il Cardo scardaccio presenta fusti robusti, foglie profondamente pentapartite dalle lunghe e temibili spine, e, in estate (in alta montagna da luglio a settembre) grossi, panciuti, meravigliosi capolini purpurei, solitari e avvolti da brattee spinose, che una volta maturi liberano pappi setosi, destinati a portare in giro i semi (acheni).
Predilige i terreni asciutti e fertili; calcicolo, lo si incontra facilmente nei pascoli, lungo i sentieri, ai margini dei boschi e negli incolti.
È chiamato anche pane degli alpini, e dopo averlo postato sulla pagina FB del mio sito Italian Botanical Heritage (www.italianbotanicalheritage.com), ho ricevuto alcune utili informazioni, che vi riporto:
«Buonissimi anche in insalata, una volta puliti con attenzione!!! Sanno da carciofi! » (Donatella Tretti);
«E anche il fiore secco é bello, ma difficile da cogliere» (Paola Bortoli: non avevo dubbi!);
«Anche detti “taca pui “, in piemontese» (Giordano Putzu);
«Strano ma vero, veniva anche usato come caglio per fare il formaggio, quando finiva quello animale ricavato dallo stomaco essicatto dell’agnello da latte» (Piero Rizzuto);
E infine: «I cardellini ne son ghiotti..» (Marco Loretti), da cui mi viene spontanea la domanda: i cardellini si chiamano così per questa loro predilezione alimentare o viceversa?
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