Quando basta davvero poco: una piccola, comunissima erica (Calluna vulgaris) acquista tutto un altro aspetto se la si trapianta in un vaso carino. Come questo cachepot di corteccia grigia, che evoca gli ambienti naturali – le brughiere, i prati umidi di montagna, i pascoli – in cui questa pianticella robusta e tenace cresce in natura. Un cuore di legno posto accanto fa il resto.
Un po’ di storia. Calluna vulgaris, comumente chiamata brugo, da brucus, termine celtico con cui veniva indicata, è una delle eriche (famiglia delle Ericaceae) più diffuse nell’areale europeo e in Nordamerica. Spontanea nei suoli acidi e silicei, è l’elemento caratteristico delle cosidette brughiere, ma cresce anche ottoboschi e nei pascoli, dalla pianura fino a 2000 e anche a 2.700 metri di altitudine. Pianta suffuticosa sempreverde aghiforme, alta e larga da 15 a 50 centimetri, può però raggiungere anche gli 80-100 centimetri. In natura fiorisce da agosto a novembre, ammantando di onde rosa porpora i luoghi in cui cresce in grande quantità, come le Highlands scozzesi e le altre terre aperte e battute dai venti impetuosi (ricordate Cime tempestose di Emily Brontë?). Un tempo, caratterizzava anche le pianure dell’alta Lombardia – come rivela anche il nome di molti villaggi, quali Brugherio, Brugo, Brugorella -, nel corso dei secoli, a partire dal Medio Evo, bonificate e dissodate; tuttavia, 1850 le brughiere lombarde occupavano ancora circa 18.000 ettari delle province di Como e di Milano.
Linneo inizialmente annoverò il brugo nel genere Erica, ma nel 1808 il botanico inglese John Hull lo spostò nel genere Calluna, creato pochi anni prima dal collega Richard Salisbury, derivandolo dal termine greco kallyno, pulisco, spazzo, poiché questa pianta veniva da secoli raccolta e utilizzata per fare le scope, in virtù della robustezza e flessibilità dei suoi rami sottili, anche una volta secchi. Oggi è l’unica specie del genere Calluna.
Un po’ di botanica. Eretta e ben ramificata, con rami, ascendenti, Calluna vulgaris presenta minuscole foglioline, non più lunghe di 3.5 mm e di forma oblungo-lanceolata, strettamente embricate (cioè sovrapposte fra loro ai margini, come le tegole su un tetto) sui rami che non danno fiori, mentre sono ben spaziate sugli altri. I fiori, altrettanto piccolini, sono disposti in stretti racemi a volte a loro volta raggruppati in pannocchie. Il calice è formato da quattro brattee simili a sepali, e sepali colorati di rosa-lilla. La corolla è campanulata, anch’essa colorata, con con quattro lobi simili più piccoli dei sepali. Calice e corolla rimangono sui rametti anche una volta secchi. Calluna vulgaris viene facilmente confusa con Erica carnea, specie altrettanto diffusa in natura sulle pianure e montagne dell’Europa meridionale ( dalla Penisola Iberica, alle Alpi, ai Balcani al Caucaso). Ecco le differenze principali, che vi aiuteranno a distinguerle una volta per tutte, tratte dall’utile sito botanico Acta plantarum:
Calluna vulgaris: fiorisce dalla fine dell’estate a novembre. I fiori hanno il calice petaloide molto più lungo della corolla. Le foglie sono opposte e quelle dei rami non fioriferi sono strettamente embricate.
Erica carnea: cresce fino 2500 metri di altidudine, nei prati, nei pascoli aridi, lungo i pendii sassosi e soleggiati, nelle radure aperte e luminose dei boschi soprattutto di conifere. Fiorisce a fine inverno, spuntando anche fra la neve (che delizia incontrarla!), fino a giugno alle altitudini superiori. Il calice dei fiori è lungo la metà rispetto ai petali. Le foglie sono inserite in spirale e rivolte all’infuori.
Cultivar e coltivazione. Commercialmente molto apprezzata e sfruttata per l’epoca di fioritura, Calluna vulgaris si declina oggi in innumerevoli cultivar: a fiore semplice e doppio, in tutte le sfumature del rosa, porpora, bianco, malva, rosso, porpora, con epoca di fioritura precoce (giugno-luglio), intermedia (agosto-settembre) o tardiva (ottobre-novembre). Le foglie variano da verde-giallo al verde scuro a bronzo e perfino variegato, le dimensioni da nanae a piccole a medio-grandi, il portamento da strisciante a eretto. Si adattano a situazioni diverse, pur crescendo meglio nelle nostre regioni centro-settentrionali. Il terreno invece deve essere acido (un pH non oltre 4.5-5.0) e privo di calcare, ben drenato, al sole. Si moltiplicano facilmente per talea semi-matura, prelevando in estate gli apici lunghi 3-5 centimetri, dai germogli laterali. In primavera vanno tagliata, per eliminare i rametti fioriferi ormai appassiti.
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