L’Orto botanico dell’Università di Vienna

Il Botanischer Garten, il Giardino botanico di Vienna, situato in Rennweg 14, nei pressi del meraviglioso Palazzo Belvedere, venne creato da Maria Teresa d’Austria nel 1754, come giardino medicianle.  Curato oggi dalla Facoltà di Biodiversità dell’Università di Vienna, che vi svolge ricerche scientifiche, si estende per circa 8 ettari, di cui 1500 metri quadrati in serre, in cui crescono 11.500 specie vegetali e vivono diverse specie animali autoctone. 

Un luogo da non perdere, dunque, se vi capitasse di essere a Vienna, persino in inverno: sia per l’aspetto scientifico, sia per trascorrere qualche ora in mezzo al verde, pur nel cuore della città. Come la maggior parte degli orti botanici esteri, infatti, il coté paesaggistico si fonde armoniosamente a quello botanico, contrariamente a quanto accade ancora oggi in Italia. Eh sì, avete letto bene: vale la pena di visitare il giardino botanico di Vienna anche durante l’inverno, come è capitato a me, nel dicembre di due anni fa. Infatt l’Orto, e in particolare la zona dedicata all’arboreto, offre la possibilità di ammirare le forme invernali di tante specie arboree e arbustive: le cortecce, i frutti e le infruttescenze, i portamenti e la presenza, su molte piante, di grossi ciuffi di vischio (Viscum album), emiparassita* in Italia ormai difficile da intravedere, mentre è assai diffuso sugli alberi di Vienna, sia nell’orto botanico, sia nei parchi e lungo i viali. Inoltre, vi sono le serre, sempre fascinose, dedicate alle specie esotiche freddolose. E infine, molto interessanti da osservare, sono le protezioni invernali allestite per gli arbusti e anche qualche albero di piccola-media taglia (tra cui un fico) non sufficientemente rustici per gli inverni viennesi: intorno alle piante, o alle loro basi, vengono fissate nel terreno delle reti metalliche, a formare grossi cilindri, riempiti con le foglie secche. Un metodo antico, ma un po’ dimenticato, molto efficace e in più piacevole a vedersi.

*emiparassita o semiparassita: pianta che, pur in grado di effettuare la fotosintesi, assorbe acqua e sali minerali dalle piante con le quali entra in contatto per mezzo di particolari strutture, dette austori. Un esempio classico é il vischio che, pur svolgendo la fotosintesi, ricava parte del nutrimento necessario per vivere dalla pianta nella quale si insedia.

 

 

Bisogna invece attendere la bella stagione, e anche piuttosto avanzata, per apprezzare appieno l’intervento realizzato dal nostro paesaggista e botanico Antonio Perazzi nel 2009: il “Cucchaio delle Rane”, nato dall’invito del professor Mario Terzic a creare un progetto, a costo zero, come visiting professor dell’Università di Arte Applicata, riutilizzando piante e materiali locali, assieme agli studenti dell’ultimo anno. Una vecchia peschiera ellittica, gravemente danneggiata dalla guerra, ormai occupata da un prato disordinato, in cui tuttavia vivevano tritoni e rospi, e da qualche anello di cemento contenente piante palustri sopravissute, ha così trovato nuova linfa vitale, come potete vedere dalle immagini sottostanti. L’intervento prende il nome da una vecchia targhetta botanica ritrovata sul luogo, che riportava nome botanico e due informazioni su una tipica pianta acquatica – “Alisma plantago- acquatica, froschloffel, Kosmopolit”-, soprannominata per l’appunto “cucchiaio delle rane”.

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