Oro e argento: ginkgo e cipresso, botanica e dintorni

Oro e argento: a questo mi ha fatto pensare questo incontro lungo una strada milanese. Le foglie dorate di un Ginkgo biloba soavemente adagiate sulle fronde di una conifera argentata. Il ginkgo lo conoscete di certo, ma forse non sapete che e’ un albero antichissimo, un vero fossile vegetale sopravvissuto ai millenni: potete leggerne qualche notizia qui sotto.

Mi sono pero’ a lungo arrovellata sulla conifera color argento che ne ha fermato le foglie nella loro caduta a terra. Una Thuja? Una Chamaecyparis? Ne esistono talmente tante varieta’, dalle fronde azzurrine! Ma cerca che ti ricerca, guarda e confronta, fra libri e google, e, ammettendo la mia scarsa conoscenza in materia, mi sono infina arresa e mi sono rivolta a due grandi esperti: Laura Gatti, agronomo e paesaggista (suo il mega progetto del Bosco Verticale, a Milano, ma ne ha realizzati molti altri ancora, di altissimo pregio), e Luca Leporati, un giovanissimo agronomo, fidato collaboratore di Orticola di Lombardia, con il dono del riconoscimento botanico infallibile. Questo il loro responso: Cupressus arizonica ‘Blue Ice’.

Lo ammetto, a quest’ultimo proprio non ci avevo pensato! Si tratta di una varieta’ decisamente color argento di una specie che proviene, come e’ facile intuire dal nome specifico, dagli Stati Uniti sud-occidentali. Ma perche’? “A parte il colore che ne caratterizza la cultivar, – mi risponde il mitico Luca, dopo aver osservato le fronde dalla pagina inferiore – siamo certi che si tratti di Cupressus arizonica per via dell’aspetto delle squame che formano le foglie: molto appressate, vicine, poco appuntite e sporgenti, danno origine a “rametti”, quasi lisci, appuntiti alle estremita’”.

E perche’ non puo’ essere un Chamaecyparis? «Il genere Chamaecyparis sviluppa dei “rametti”, che in realta’ sono foglie, piu’ simili a ventagli, talvolta penduli, e le squame sono disposte in modo piu’ marcatamente alternato, e sono piu’ appuntite», risponde rapidamente Luca.

E perche’ non una Thuja? «Il genere Thuja forma “rametti” simili a Chamaecyparis, ma spesso sono piu’ schiacciati, piu’ appiattiti, e l’apice appuntito della squama si nota ancora meglio». Datemi retta, di Luca Leporati sentiremo parlare molto, nel prossimo futuro!

Nel frattempo un consiglio: se volete saperne di piu’ sulla classificazione delle piante, senza rompervi la testa sui complicatissimi libri di botanica sistematica, leggete “La magia delle piante”, di Jacques Brosse, Edizioni Studio Tesi, un libro davvero meraviglioso, che potete richiedere per esempio alla Libreria della Natura.

A proposito di Ginkgo biloba: storia e un po’ di botanica. Si suole descrivere Ginkgo biloba come una via di mezzo fra la conifera e la latifoglia. In realta’, per essere precisi, dal punto di vista sistematico, appartiene alle Prefanerogame. Le Fanerogame sono una superdivisione botanica che riunisce le piante vascolari (cioe’ dotate di vasi per la conduzione di linfa grezza e linfa elaborata), dotate di organi riproduttivi ben visibili e caratterizzate dalla presenza dei semi, al contrario delle piante piu’ primitive (alche, muschi e felci): sono percio’ dette anche Spermatofite. Si suddividono in Gimnosperme, piante vascolari legnose che producono semi non protetti da un ovario, le cui forme attuali sono, essenzialmente, le Conifere; e in Angiosperme, piante vascolari caratterizzate da una struttura specifica per la riproduzione, il fiore, dal quale, in seguito a fecondazione, si forma il frutto, contenente i semi; a loro volta le Angiosperme si suddividono in Monocotiledoni e Dicotiledoni.

Torniamo alle Prefanerogame: molto diffuse nel Giurassico e poi quasi scomparse nel Cenozoico, presentavano qualche carattere tipico delle felci, ma al contrario di queste producevano semi, motivo per il quale sono state soprannominate «felci da seme». Le Prefanerogame sono conosciute perlopiu’ attraverso resti fossili, tranne alcune eccezioni, tra cui le Cycas e, appunto, il Ginkgo biloba, unico specie superstite della famiglia delle Ginkoaceae. Ampiamente diffuso oltre 250 milioni di anni fa anche in Europa, il genere non sopravvisse alle glaciazioni e fu ritenuto estinto fino al 1700 secolo, quando ne vennero scoperti in Cina alcuni esemplari della specie in seguito denominata Ginkgo biloba; recentemente ne sono state scoperte anche due stazioni relitte nella Cina orientale, anche se alcuni botanici ritengono che non si tratti di piante spontanee, bensi’ derivate da antiche coltivazioni a opera di monaci, che li hanno piantati da millenni nei giardini dei templi e dei luoghi di culto in Cina, come pure in Giappone, venerandolo come “albero sacro”, capace di proteggere dagli spiriti maligni, e simbolo dell’immutabilita’ delle cose.

E’ infatti un albero estremamente longevo e robusto, immune dai parassiti e, si e’ scoperto poi, resistente all’inquinamento atmosferico. Anzi: alcune piante che si trovavano a Hiroshima sono riuscite a sopravvivere alla bomba atomica, ragione per la quale in Oriente e negli Stati Uniti Ginkgo biloba¨ divenuto l’albero simbolo della rinascita.

Il nome attibuito al genere, Ginkgo, ha origini giapponesi e significa “albicocca d’argento” (da gin=argento; kyo=albicocca) perche’ i frutti a maturazione sembrano albicocche infarinate. Si tratta pero’ di un errore di trascrizione, di “Ginkyo”, pronuncia originale del termine utilizzato in giapponese, riportato poi da Linneo (in Mantissa plantarum, 1767). Il nome della specie, biloba, si riferisce invece alla caratteristica forma bilobata della foglia.

Uno degli esemplari piu’ antichi presenti in Italia si trova nell’Orto botanico di Padova, messo a dimora nel 1750. Si tratta di un esemplare maschile sul quale, verso la meta’ dell’Ottocento, venne innestato, a scopo didattico, un ramo femminile.

Un’altro esemplare molto antico si trova nell’Orto botanico di Brera, a Milano, di cui e’ il simbolo.

 

Ginkgo biloba, Kwe Gardens, dal web
Ginkgo biloba, Kwe Gardens, dal web

La sua morfologia. Grande albero estremamente decorativo, Ginkgo biloba arriva ai 30 metri di altezza, con chioma larga fino a 9 m, piramidale nelle giovani piante e ovale negli esemplari piu’ vecchi, e corteccia liscia e di color argento nelle prime, grigio-brunastro fino a marrone scuro e fessurata nei secondi. Ne esistono oggi una trentina di cultivar, di dimensioni molto piu’ contenute, a portamento piangente, a foglia piu’ piccola, sterili o solo maschili.

La morfologia interna e in particolare il sistema vascolare di Ginkgo biloba e’ molto primordiale: come nelle Conifere, i rami principali, detti “macroblasti”, dagli internodi molto lunghi, portano numerosi “brachiblasti”, cioe’ rametti brevi, non ramificati, sui quali si formano le foglie e le strutture riproduttive. Anche le foglie hanno una forma particolare: a ventaglio (si dicono “labelliformi”), leggermente bilobate e percorse da un numero elevato di nervature dicotome, che cioe’¨ si dividono tutte in due, invece di “ramificarsi” come nelle foglie delle piante piu’ evolute. Verde tenero in primavera, poi verde scuro, diventano in autunno del giallo splendente che tanto amiamo.

foglie, fiori e frutti di Ginkgo biloba (dal web)
foglie, fiori e frutti di Ginkgo biloba (dal web)

Il ginkgo e’ inoltre dioico: i “fiori” femminili e quelli maschili sono portati da piante diverse. Come immagino sappiate gia’ , bisogna fare attenzione alle “signore ginkgo”, ed evitare di piantarle in giardino, perche’ la polpa dei loro piccoli frutti tondeggianti emana, a maturazione, un odore estremamente sgradevole. E, purtroppo, maturano tutti a terra, perche’ e’ solo a terra che avviene la loro fecondazione: all’inizio dell’autunno, quando gli ovuli sono gia’ caduti dalla pianta madre e hanno quasi raggiunto le dimensioni definitive, i gameti maschili, trasportati nel frattempo dal vento, raggiungono gli ovuli, grazie al fatto che sono ciliati e mobili, in altre parole dotati di minuscola codine che consentono loro di muoversi e compiere la loro missione.

Attenzione alle signore ginkgo! Purtroppo ci si puo’ accorgere se un ginkgo e’ maschio o femmina solo quando comincia a fruttificare, cioe’ a 20-30 anni di eta’, quando ormai e’ diventato un bell’albero: se ve ne trovate uno in giardino, non vi rimane che girargli alla larga in autunno; se invece intendete piantarne uno, acquistate una pianta derivata dall’innesto di varieta’ che non fruttificano o cloni maschili certificati, cosi’ come, se non disponete di uno spazio adeguato alle dimensioni della specie, di varieta’ di taglia piu’ piccola. Chiedete dunque garanzie sicure al vivaista al quale vi rivolgete!

I famigerati frutti maleodoranti sono pero’ commestibili, o meglio, lo sono i grossi noccioli contenuti, e anzi in Cina sono considerati una prelibatezza: una volta liberati dalla polpa esterna, aperti e cotti, hanno un gusto fra la patata e la nocciolina.

 

4 Commenti

  • Francesco Vignoli
    17 Dicembre 2016 17:57

    Bravissima. Raramente si trova su questa pianta una esposizione cosi precisa ed esauriente. Mi batto da decenni per proporre il Ginkgo in varietà rigorosamente da innesto, adesso siamo su una buona strada.

    • Margherita Lombardi
      19 Dicembre 2016 19:02

      Grazie di cuore, Francesco! Ho bisogno davvero dell’approvazione di voi esperti, con i quali desidero collaborare a stretto contatto. Vorrei tenere il tono del blog un po’ alto, dando voce ai vivaisti. Se mi mandi l’elenco e qualche foto (o le cerco sul web) delle tue varietà, con qualche descrizione, possiamo farne un post per esempio a febbraio, che ne dici? alla mia mail, se ce l’hai. Grazie ancora!!!

  • Margherita Rossini
    21 Dicembre 2016 16:19

    Ho letto il tuo articolo, grazie per le nozioni molto interessanti…

    • Margherita Lombardi
      23 Dicembre 2016 18:12

      Grazie di cuore, Margherita!

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