L’ho vista una settimana fa nell’Orto botanico di Palermo, avvolta a un piccolo chiosco, carica dei suoi grandi fiori imbutiformi, di un tenero azzurro-lavanda, con la gola bianca o gialla, riuniti in lunghi grappoli penduli: è Thunbergia grandiflora, vigoroso rampicante sempreverde orginario di Cina, India, Nepal, Indocina e Birmania. Chiamata “tromba blu“, “tromba del Bengala“, “thunbergia blu” e, in inglese “skyflower blu”, “skyflower” e “skyvine” e appartenente alla famiglia delle Acanthaceae, ha fusti volubili, sottili, lunghi anche 10 metri e foglie opposte, intere, dai margini radamente dentati, di diversa grandezza, che possono essere ovate, obovate e, soprattutto da vecchie, cuoriformi, attaccate ai fusti da brevi piccioli. Guglielmo Betto, grande botanico e scrittore, nel suo libro Le piante rampicanti, pubblicato nel 1986 da Rizzoli, in quella meraviglosa collana che è stata L’Ornitorinco, la ritiene uno dei rampicanti più belli, perché grazie alla sottigliezza dei fusti, forma «un manto verde di grande». I fiori, avverte, sono autosterili, per cui non produce semi e si moltiplica per talea o margotta.
Mentre nei luoghi di origine fiorisce da novembre a marzo, in ambito mediterraneo sboccia da giugno a fine ottobre e anche un pochino oltre. Purtroppo è delicata: richiede infatti almeno +5°C per sopravvivere (secondo Betto molto di più) e una temperatura media per fiorire bene di 22°C, per cui è adatta solo ai climi miti, dove la si può coltivare sia al sole sia in mezz’ombra, come la Riviera ligure, le coste della Sicilia, della Campania e del Lazio. In realtà, dice ancora Betto, più che di grandi caldi ha bisgono di inverni tiepidi. Desidera un terreno sciolto, arricchito da letame o altro concime organico, oppure di medio impasto ma molto ben drenato. Buona pratica, informa Betto, è «tenere d’occhio i getti più vigorsi per cimalri ogni volta che abbiano raggiunto un buon sviluppo, per favorire l’emissione di vigorosi getti laterali e godere di una maggiore quantità di fiori».
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