L’ho vista qualche settimana fa, nel cortile del meraviglioso Palazzo Butera, a Palermo, durante un viaggetto studio con Orticola di Lombardia e non credevo ai miei occhi: l’intera balustra del grande cortile era ricoperta da tre sole piante, appartenenti ai portentoso rampicante legnoso, i cui giovani getti, lunghi fino a 2 metri, sembravano voler minacciosamente entrare nell’edificio – stupendamente restaurato dalla famiglia Valsecchi e ora aperto alle visite – attraverso le finestre.
Si tratta di Solandra maxima, una Solanacea originaria di alcune province del Messico, dove è soprannominata copa de oro, fra cui Oaxacà e Puebla, situate sugli altopiani, dove l’estate è piuttosto arida e in inverno si verificano leggere gelate, e dove il rampicante raggiunge uno sviluppo di 50 metri e più. Ha foglie grandi, peducolate, intere, ellittiche con apice acuminato. Fiorisce, dice, da maggio a settembre, formando grandi fiori solitari, portati da steli robusto, con un calice tuboloso eavvolge per un terzo uno stretto tubo corollino lungo 9-12 centimetri, che poi allarga in una corolla aperta con cinque lobi retroflessi. Si aprono verso sera e sno molto profuati, dapprima sono giallo chiaro con striature brune, il giorno dopo giallo carico, il secondo giallo ocra e infine giallo oro. In totale raggiungono i 16-18 centimetri di lunghezza e e 20-25 di ampiezza. Come raccontava Gugliemo Betto nel suo ottimo libro Le piante rampicanti (pubblicato da Rizzoli Editore, all’interno della collana L’Ornitorinco, nel lontano 1986), la sua orgine ne permette la coltivazione nelle zone temperato-calde della nostra Penisola. E infatti la vide in ottima forma a Capri. Il grande maestro, raccomanda però di aiutarne la ripresa vegetativa dopo la stasi invernale, con “una generosa sommnistrazione di composta, letame e acqua durante la primavera, e di sospendere le ananffiature in giugno-luglio, finché la pianta non arriva a manifestare una certa sofferenza con l’afflosciarsi delle foglie. A quel momento si riprendono le annaffiature ma non le concimazioni e si avrà l’abbondante comparsa di boccioli”. S einvece si continuasse a bagnarla e a concimarla senza interruzioni, “la pianta metterebbe solo amore a vegetare senza pensare a fiorire”. Quanta attenzione e che parole belle per parlare di piante! Questo libro, prezioso come tutti gli altri della collana, è fuori catalogo da molti anni, ma se avrete fortuna, potrete forse trovarlo in qualche bancarella di libri usati e ve li raccomando tutti caldamente. Betto aggiunge inoltre che Solandra maxima può essere preda di marciumi radicali, evitabili con un buon drenaggio del terreno, e di malattie fungine, favorite da posizioni poco ventilate e umide. Per prevenirli, va piantata in terreni moderatamente calcarei e ben drenati, e in posizione soleggiata e ventilata. La si può riprodurre per talea semilegnosa, lunga 15 centimetri, in primavera, con calore di fondo, cosa che non è da tutti.
In quanto a Palazzo Butera, si tratta di complesso monumentale sei-settecentesco nel quartiere storico della Kalsa, affacciato sul Foro Italico, con le cosiddetta Passeggiata delle Cattive (in latino captive, con riferimento alle vedove, costrette dal lutto a condurre vita ritirata, passeggiando per esempio su questo terrapieno, non viste da altri), da cui si domina per intero il Golfo di Palermo.
Acquistato nel 1692 da Girolamo Branciforti principe di Butera, il palazzo ebbe il suo massimo splendore soprattutto negli anni Settanta del Settecento, con Ercole Michele Branciforti, in quegli anni tra i maggiori protagonisti della vita politica e culturale della città. In seguito il palazzo passò ai principi di Trabia, che lo abitarono fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Bombardato, Palazzo Butera, andò in declino. Dopo avere ospitato un ufficio regionale e un istituto scolastico, negli ultimi decenni è stato utilizzato come sala ricevimenti, usi che hanno aumentato l’alterazione della struttura originaria. Acquistato nel 2016 da Massimo Valsecchi con la moglie Francesca, è stato sottoposto un attento lavoro di restauro, terminato in due anni grazie all’imponente squadra di lavoro (oltre un centinaio di persone fra operai, restauratori, architetti, ingegneri, geometri e artigiani), riportando alla luce le antiche bellezze, integrate con interventi contemporanei, volti ad trasformare il palazzo in un museo “domestico“, che raccoglie la preziosa collezione dei proprietari, comprendente arte antica, contemporanea, oggetti originali, come il design inglese del primo Ottocento. Mi sono davvero goduta la visita, per cui va raccomando di cuore.
Senza contare che il palazzo ospita anche un ottimo bistrot, Le Cattive, aperto dalla famiglia Tasca d’Almerita: uno spazio polifunzionale, dove bere un bicchiere dei vini del territorio, gustare dalla colazione alla cena eccellenti piatti della tradizione siciliana rivisitati in chiave moderna, e partecipare al ricco calendario di attività culturali, dagli incontri alle presentazioni di libri.
Tra le caratteristiche più affascinanti di Palazzo Butera, una grande Jacaranda mimosifolia, splendido albero della famiglia delle Bignoniaceae, originario del Sud America, diffuso nel nostro meridione, che cresce nel cortile, proprio accanto all’edificio. Durante i lavori di restauro una sua grande e lunga radice è stata ritrovata in un canale di passaggio delle acque piovane rivestito di maioliche del Settecento e dell’Ottocento. Ben dimostra l’intelligenza vegetale: la radice diventa più sottile dove non trova acqua e si ingrandisce in direzione del pozzo. È stata preservata e coperta da un vetro, così la si può ammirare.
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