Hanno già cominciato a sbocciare le piccole, umili, tenere pratoline: Bellis perennis è il nome scientifico di questa Asteracea diffusa in tutta Europa. Sono stati i primi fiori che mi hanno regalato i miei bambini, e ricordo ancora la commozione. Quando ero piccola e e, poi, tanti anni dopo, per loro, usavo raccogliere i fiori con gli steli più lungi e intrecciare coroncine. Sapete come si fa? Si accostano i gambi di due fiori, poi se ne sovrappone un terzo, annodandolo con delicatezza sui primi due. Si fa avanti cosi, fino a completare la coroncina. E chi di noi, almeno per il primo amore, non ha fatto il gioco del “m’ama, non m’ama”, sfilandone un petalo (in realtà ligula) uno per uno?. Una tenera abitudine che affonda le radici ancora al Medioevo. Fino a che ero ragazzina, i fioristi vendevano deliziosi mazzolini di pratoline e non-ti-scordar-di-me, avvolti da una ghirlanda intagliata di carta bianca e spessa – duravano pochi giorni, ma erano una vera delizia – ma, oggi, purtroppo, non li si trova più.
Ma chi è questo piccolo fiore, presente quasi tutto l’anno e tanto comune da passare inosservato? In Egitto, pensate, sono stati trovati di 4mila anni di età e a Creta mollette per i capelli d’epoca minoica decorati con pratoline. Erbacea perenne, dotata di un corto rizoma da cui si dipartono numerose radichette sottili, Bellis perennis cresce nei prati delle zone fredde e temperato-fredde di Europa e Asia, fino a 2mila metri di altitudine, ma si è naturalizzata anche in Nuova Zelanda, Australia e Nord America al seguito dei coloni. Forma rosette, con gemme a livello del suolo, di foglioline basali a forma di spatula allungata, al centro delle quali da febbraio a novembre-dicembre spuntano i fiori, capolini semplici dal cuore giallo e dalle ligule bianco-rosate, portati di steli lunghi 5-15 centimetri.
Origine del nome, storie e leggende. Il nome scientifico delle pratoline, scelto da Linneo (1707–1778), ha un’orgine antica e dibattuta, ma secondo i filogici moderni Bellis deriva dall’aggettivo latino bellus, bello, grazioso, e perennis, perenne, dal suo ciclo vitale.
Il soprannome inglese, daisy, verrebbe da day’s eye, occhio del giorno, per la caratteristica dei fiori di chiudersi alla sera e riaprirsi ogni giorno al sorgere del sole. Sempre in Inghilterra, dall’Ottocento Daisy è il nome preferito da attribuire a una mucca, oltre che il diminuitivo di Margaret, per assonanza con il termine francese marguerite, utilizzato in Francia per indicare la margherita dei campi (Chrisanthemum leucanthemum).
Risalgono a quel periodo tre espressioni tipicamente inglesi:
–it’s daisy (è una margherita), per indicare un avvenimento speciale, poi andata perduta;
-pushing up the daisies (spingendo verso l’alto le margherite), come eufemismo per indicare la morte di qualcuno, che divenne molto diffusa dopo la prima guerra mondiale.
-ups-a-daisy, (tira su la margherita), per confortare i bambini caduti per terra, diventata in seguito whoops-a-daisy e infine poi oops!. Una chicca che vi farà sorridere: nella versione originale del celebre film Notting Hill (1999), il personaggio interpretato da Hugh Grant, nell’incespicare, esclama proprio whoops a daisies!, al che Julia Roberts commenta: «Nessuno da cinquant’anni a questa parte ha più detto “whoops a daisy” e in ogni caso solo a bambine con i riccioli biondi!».
Secondo un’antica credenza dei Celti, quando moriva un bambino, le divinità spargevano tutto intorno pratoline, e in seguito, con l’arrivo del Cristianesimo nelle loro terre, le punte rosse sui petali di molte loro indicarono il sangue di Cristo.
Dopo la morte della regina Victoria, nel 1901 e fino agli anni ’50, il suo compleanno, il 24 di maggio, venne dichiarato giorno di festa nazionale, durante il quale le scuole erano chiuse e tutti indossavano pratoline, diventate simbolo dell’Impero Britannico: il cuore a rappresentare la patria e i petali le colonie.
Le pratoline sono citate nelle opere di tanti poeti di lingua anglosassone: da Shakespeare – nella scena della morte di Ofelia, per esempio, e in Love’s Labour’s Lost, Pene d’Amore Perdute (‘daisies… do paint the meadows with delight’) -, a Wordsworth (nel poemaTo The Daisy), a Keats, all’americana Emily Dickinson, la poetessa delle piccole cose della natura, nei loro sonetti.
Nel linguaggio dei fiori la pratolina indicava innocenza, grazia, bontà, ma anche temporeggiamento. Regalarne un mazzetto significava affetto, fiducia che i segreti sarebbero rimasti tali, promessa di un nuovo inizio. Abbinate alle primule e avvolte dal muschio erano il simbolo dell’amore materno.
Nel passato vennero attribuito loro molti poteri terapeutici, oggi in parti negati – nel Medio Evo si applicavano decotti di foglie per curare ferite e lividi, e, sotto forma di tisane, si somministravano contro malanni a gola, polmoni e stomaco – e in parte riconosciuti dall’odierna erboristeria: i fiori tubolari (quelli che compongono il cuore del capolino) e le foglie hanno proprietà diuretiche, depurative e astringenti, ma evitate, mi raccomando, preparazioni fatte in casa, che è un attimo sbagliare dosi. Invece, potete utilizzare senza pericolo le giovani rosette per insaporire minestre di verdure, insalatine e burri alle erbe. Anche i fiori sono commestibili, ma hanno un sapore amarognolo, per cui megli usarli con parsimonia come decorazione.
Le pratoline in giardino. Tra i primi fiori selvatici a entrare nei giardini, dalle pratoline sono nate diverse forme varietali, molto probabilmente all’inizio spontanee. Nel 1542, per esempio, l’erborista tedesco Leonhard Fuchs racconta come pratoline doppie rosse e bianche fossero «piantate quasi in ogni giardino»; nel 1629 il collega inglese John Parkinson nel suo Paradisus ne descrive di bianche, rosse, punteggiate, striate e bianche. Furono amatissime in epoca vittoriana, quando se ne coltivavano molte cultivar, in tutte le sfumature del rosa, compreso il salmone, del rosso e del bianco, così come alcune dagli steli particolarmente lunghi e dai fiori molto grandi, adatti ad essere recisi (‘Nibelungen’, ‘Giant’, ‘Enorma’ , ‘Superb Mammoth’, ‘Monsterosa Grandiflora’ e altre ancora, riportate dai manuali di giardinaggio dell’epoca). La maggior parte purtroppo è andata perduta o forse qualcuna sopravvive ancora in qualche vecchio giardino di campagna, in attesa di essere riscoperta. Il Plant Finder della Royal Horticultural Society ne riporta ancora diverse (pur essendone sparite, negli ultimi vent’anni, una miriade, fra cui la celebre ‘Mostruosa’, citata ancora nei cataloghi vittoriani).
Tra quelle ancora in produzione in Inghilterra, la serie ‘Pomponette’, derivata da una cultivar selezionata molto tempo fa in Francia, dai deliziosi capolini a pompon, larghi 4 centimetri, nei toni del bianco, rosa e rosso; la serie ‘Tasso’, che comprende cultivars compatte, dai fiori doppi, larghi 6 centimetri, bianchi, rosa o rossi, alti 15 centimetri, si suggerisce da coltivare come annuali; la serie ‘Bellissima’, dai capolini a pompon, nei colori rosa, bianchi e rossi, foglie verde luminoso, da coltivare come biennali.
Tra le cultivar singole, ho individuato ‘Alice’, foglie verde chiaro e fiori stradoppi rosa luminoso. ‘Dresden China’, dai capolini stradoppi, rosa, larghi 3 centimetri, da inizio primavera a fine estate, molto robusta e perenne. ‘Lower Minety’, molto leggera, foglie verde chiaro spruzzate di giallo e capolini semplici, bianchi ma soffusi di rosa chiaro appena sbocciati, portati da esili steli. ‘Miss Mason’, fiori piccoli, stradoppi, bianchi. ‘Prolifera’, vecchia varietà dai fiori stradoppi, con petali a strisce orizzontali bianchi e rosa-rosse, che danno ai capolini una colorazione complessiva ad anelli di colori alternati. ‘Romy Red’ , foglie verde scuro e fiori a pompon larghi 5-6 centimetri, rosso cremisi chiaro, in primavera e state, da coltivare come biennale). ‘The Pearl’, compatta, a fiore stradoppio, bianco luminoso, con un accenno di cuoricino giallo centrale, davvero molto grazioso.
In fiore dalla primavera all’estate, sono in vendita come piantine da gennaio in poi. Oppure le si può seminare (però nei cataloghi, per esempio di Garden Seeds Market , Pan American Seeds, Blumen eThompson&Morgan, ho trovato solo le ‘Pomponette’ e le ‘Bellissima). Molto rustiche, vanno piantate al sole o al massimo in mezz’ombra, in terreni fertili, soffici e ben drenati.
(Le foto delle cultivar provengono dal web)
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