La ballota, i lumini e le monache

Di sicuro conoscete tutti Ballota pseudodictamnus, erbacea perenne a portamento tondeggiante, dal fogliame un po’ cicciottino, grigio, dai bordi smerlati e arrotondati che sembrano ritagliati con le forbicine di una fata paziente. Appartenente alla famiglia delle Lamiaceae, originaria del Mediterraneo e in particolare della regione meridionale dell’Egeo, è molto apprezzata per i giardini dei climi caldi e asciutti, da utilizzatarvi in aiuole, rocciosi, scarpate, sopra muretti, nei terreni magri e porosi, al sole. È rustica fino a -10°C.

Alta non oltre 50 centimetri, ricoperta da una peluria argentata, Ballota pseudodictamnus forma fitti rametti eretti e fogliosi, che da giugno ad agosto/settembre terminano in spighe rade, di piccoli fiori tubolosi bianco rosati. Essendo poco significativi, vengono solitamente eliminati per conservare la compattezza del fogliame.

Lasciatene invece qualcuna, vi potete fabbricare piccole candele vegetali per illuminare una cena d’estate, recuperando un’antica tradizione campana: le monache dei monasteri distribuiti nel Vallo di Diano, suggestivo altopiano all’interno del Cilento, raccoglievano le spighe ormai sfiorite, staccavano delicatamente i calici dei fiori  ormai secchi e li usavano come stoppini. A raccontarmelo è stata Maria Formentin, paesaggista, floral designer e flower farmer di Padula: «Le monache, che sapevano il fatto loro, vi realizzavano a costo zero i lumini da mettere ai piedi delle statue dei santi». Il procedimento è facile: occorrono dei piccoli recipienti (anche i tappo di certe bottiglie), li si riempe d’olio d’oliva, vi si appoggia sopra un supporto in fil di ferro per sostenere i calici, impedendo loro di affondare, e li si accende, come stoppini di candele. Il calice, continuando a pescare olio dal basso, va avanti a bruciare, lentamente, molto a lungo. Non è un’idea deliziosa?

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