Una piccola erica per illuminare l’inverno

Basta davvero poco per rendere speciale un angolo del giardino, del terrazzo e perfino un davanzale, anche durante l’inverno. Come questa piccola erica, piantata in vasetto realizzato con corteccia, e accompagnata da un cuore di legno. Sono infatti i dettagli a fare la differenza. E ciò riguarda anche le caratteristiche di questa pianticella, che in realtà andrebbe chiamata calluna e non erica.

Calluna vulgaris, questo è il suo nome specifico, è piccolo arbusto della famiglia delle Ericaceae, alta 20-50 centimetri, che cresce spontaneo delle zone fredde e temperate/fredde, dagli inverni freddi e dalle estati brevi e umide, di Europa, Siberia occidentale, Asia minore e America settentrionale,  caratteristico delle brughiere (da cui il nome comune di brugo)e dei cespuglieti fino a 2500 metri di altitudine, dei boschi di conifere e nelle toriere, in terreni acidi ben drenati, al sole o in mezz’ombra, questi continenti con buone precipitazioni e periodi estivi ristretti. In Italia, lo si incontra nelle regioni centrosettentrionali, soprattutto nelle Alpi e Prealpi, mentre è raro sull’Appennino centrale.

A seconda dell’altitudine, in natura le callune fioriscono da fine estate a novembre avanzato, ma in commercio le si trova comunemente in fiore dall’autunno all’inverno inoltrato, in diverse sfumature di colore, dal violetto, al rosa, al bianco, poiché si declina ormai in innumerevoli cultivar. Per quanto la calluna sia di per sé facile da coltivare, come probabilmente avrete sperimentato, le piantine acquistate nei garden, al mercato e presso la grande distribuzione, finiscono sempre per seccare: il fatto è che sono messe in vendita in vasi troppo piccoli, ormai invasi dalle radici, che si sono oltrettuto sviluppate a spirale, per mancanza di spazio, per cui è veramente difficile bagnarle come si deve. Bisognerebbe trapiantarle in contenitori più ampi, sempre di riuscire a distendere le radici. Insomma, è un po’ una battaglia persa.

Un po’ di botanica. Il genere Calluna al momento annovera quest’unica specie, anche se forse anche alcune forme varietali; il nome è stato introdotto dall’inglese Richar A. Salisbury, nel 1802, dal termine greco καλλύνω (kallýnō),che vuol dire “spazzare, pulire”: in passato questa pianticella veniva infatti utilizzata per fare le scope.

Per osservare bene le caratteristiche morfologiche del brugo dovreste munirvi di una lente d’ingradimento! Calluna vulgaris ha infatti foglioline semprevedi, aghiformi, lunghe 2-3 millimetri, opposte, alterne a coppia, fittamente embricate (cioè parzialmente sovrapposte) in 4 file longitudinali. I fiori, minuscoli, ermafroditi, leggermente penduli, hanno la corolla campanulata, nella specie selvatica di colore viola, malva o rosati; il calice è lungo il doppio della corolla; corolla e calice sono tetrameri, cioè formati da quattro elementi ciascuno. I fiori sono riuniti in un’infrescenza a racemo unilaterale: sono cioè rivolti tutti dallo stesso lato. Vengono impollinati dalle api, dalle falene e, soprattutto i più tardivi, dal vento.

Calunna vulgaris viene facilmente confusa con diverse specie del genere Erica, e in particolare con Erica carnea, che le assomiglia molto e abita gli stessi ambienti; ma le corolle e i calici delle eriche sono pentameri, cioè formati da cinque elementi, e non tetrameri, come nel brugo; in Erica carnea, inoltre, il calice è lungo la metà della corolla, e le foglie sono lunghe 4-13 millimetri.

 

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