Il prugnolo selvatico

L’ho incontrato, carico di frutti, domenica scorsa, durante una passeggiata nei boschi di Cassine, nel Basso Monferrato: è il prugnolo (Prunus spinosa), arbusto spontaneo in Italia, oltre che nel resto dell’Europa e nell’Asia occidentale. SI ritrova dalla fascia mediterranea fino alla zona montana, ai margini dei boschi e dei sentieri. Delizioso in inverno, quando è in fiore, in autunno si carica di piccole drupe nerastre con prunia blu, commestibili (anche se di sapore acidulo-dolciastra anche a maturità), ci si ricavave ottime grappe e altri liquori, oltre che sciroppi ricchissimi di vitamina C e astringenti;  sono inoltre una preziosa fonte di cibo per gli uccelli e altri animali selvatici.

Chiamato anche Pruno selvatico e appartenente alla famiglia delle Rosaceae, prende il nome dal greco prunon, che indica il tipo di frutto, e dal latino spinosus che lo definisce pianta spinosa.

Può raggiungere i 5 metri di altezza, a portamento piuttosto scomposto se lasciato crescere naturlamente. Ha una bella corteccia color cenere, lucida. I fiori sbocciano prima delle foglie, a fine inverno: sono piccoli, bianchi solitari o riuniti in grappoletti; intensamente profumati, sono bottinati dalle api, felici di trovarli in una stagione ancora povera di fiori. Compaiono prima delle foglie, piccole, alterne, lanceolate, brevemente picciolate, a margine seghettato, gialle in autunno.

Il prugnolo, che può vivere oltre qurant’anni, si riproduce da solo mediante semi e polloni. Molto rustico, robusto e adattabile, anche a terreni poveri e sassosi, viene utilizzato come portainnesto per peschi e susini. Ma è anche un’ottima pianta per siepi di confine in campagna, date le sue spine acuminate e la facilità con sui radica e pollona, formando macchie e bordure impenetrabili, rifugi ideale per gli uccelli per nidificare.

Proprietà. I frutti, oltre ad essere molto ricchi in vitamine, in particolare la C, contengono sostanza  che diminuisce la fragilità vasale. Freschi o secchi hanno proprietà astringenti: una volta maturi servivano ad aromatizzare il vino e produrre liquori. Lasciati in decozione nel vino, erano utilizzati per far passare il raffreddore, mentre il loro decotto, addolcito con il miele contra la tosse. Il loro succo è utile per risciacqui antinfiammatori contro  gengiviti, stomatiti e faringiti. Il decotto di corteccia, dalle propietà astringenti, era invece usato come febbrifugo e antinfiammatorio delle mucose. Dalla corteccia si estraeva un colorante rosso, usato per tingere, e dalle foglie essiccate un surrogato del tabacco. I fiori raccolti non appena schiusi servivano per preparare sedativi leggeri, diuretici, espettoranti, digestivi.

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