Ieri mattina, andando in redazione, in una delle aiuole di meli cotogni davanti al Piccolo Teatro, a Milano, ne ho sentito l’inconfondibile chioccolio: una serie di suoni corti e gorgheggianti, allegri come è allegro e tenero il suo aspetto. È lui, il pettirosso, l’uccellino simbolo del Natale nei Paesi anglosassoni, per da sempre per me il segnale che il freddo, e l’inverno, sono arrivati.
Erithacus rubecula il suo nome scientifico, robin quello inglese, rouge-gorge il francese e Rotkehchlen il tedesco (ovvero “gola rossa” nelle due ultime lingue): appartenente alla famiglia dei Muscicapidae, è un piccolo passeriforme, una pallina di piume, con il dorso di un colore bruno-oliva, il ventre bianco, le zampine sottili e rossicce, l’inconfondibile macchia rosso-arancio su petto e faccia, e occhietti neri brillanti che gli conferiscono un’aria curiosa.
Il suo canto melodioso ha ispirato nel tempo scrittori, poeti e musicisti, a cominciare da Chopin, che cercò di rirodurlonel tema principale della Grande Polonaise brillante, e della poetessa americana Emily Dickinson, che gli dedicò alcuni dei suoi versi più commoventi:
Se io potrò impedire
a un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto in vano.
Se allevierò il dolore di una vita
o aiuterò un pettirosso caduto
a rientrare nel nido
non avrò vissuto invano.
Tanti anche i miti e leggende su di lui, la più celebre delle quali racconta che in orgine i pettirossi fossero interamente grigi, “ma acquistarono la caratteristica macchia rossa dopo che una goccia del sangue di Cristo sulla Croce cadde sul petto a uno di loro, che impietosito, cercava di alleviarne la sofferenza strappandogli le spine dalla corona”.
Furono invece gli Inglesi che, nell’Ottocento, si accorsero come, in dicembre, ovvero nel periodo riproduttivo, i pettirossi delimitano un’area, difendendola coraggiosamente: dal perido vittoriano comparvero le cartoline natazie decorate con immagini di pettirossi, agrifoglio e neve, abitudine che si diffuse in tutta Europa.
Il suo habitat. Il pettirosso è diffuso in tutta Europa e dall’Atlantico agli Urali (sue sottospecie vivono invece in Asia Minore, Canarie e Iran), nei boschi di conifere e latifoglie, freschi e umidi, e con l’inverno, l nelle campagne, negli orti, nei frutteti, nelle siepi, nei giardini e parchi anche delle zone urbane, in cerca di cibo, quando diventa più coraggioso. Una scena tipica dell’inverno è infatti vederlo zampettare intorno, a pochi metri di distanza, di qualcuno che sta lavorando in giardino: il nostro uccellino sa infatti che, con lo smuovere della terra, saltano fuori lombrichi e insetti, di cui va ghiotto.
Abita in tutte le regioni italiani, ma è più visibile in inverno, sia per la questione del cibo, sia perché ve ne sono di più: con l’arrivo dei primi freddi, torna infatti torna quella parte della popolazione che, con il caldo estivo, aveva migrato verso Nord, sino al Circolo Polare Artico, dove si riproduce nelle foreste di conifere; con il sopraggiungere dell’inverno, torna a svernare nel bacino del Mediterraneo: per esempio è una delle specie invernali più frequenti in Sardegna, mentre in estate se ne trovano pochi, proprio perché il clima è troppo caldo e asciutto per i suoi gusti.
A seconda della stagione, si nutre di piccoli molluschi, lombrichi, insetti e larve, bacche, more, mirtilli, ribes, fragole e lamponi, che trova nei boschi.
Come si è detto prima, dietro l’aspetto tanto tenero il pettirosso non è affatto un mansueto, anzi: solitario e super territoriale, difende il proprio spazio con grande violenza, e non soltanto durante il perido della riproduzione e l’inverno, ma anche durante le soste durante la migrazione, cosa piuttosto rara come mi hanno spiegato. E scaccia i suoi simili in malo modo: gonfia minacciosamente il petto, agita ali e coda, oscilla tracottante da una zampa all’altra, emettendo nel frattempo un canto particolare e arrivando fino ad azzuffarsi.
Invece, con la stagione degli amori, a fine inverno, il battagliero uccellino diventa un gran seduttore, dolce e affettuoso con la compagna che cede alla sua corte, alla quale offre cibo e lascia entrare nel suo prezioso territorio. Le nuova coppietta costruisce il nido – una coppa di rametti intrecciati, imbottito di foglie, muschio e peli – tra le spaccature dei tronchi, ai piedi delle siepi, in piccole cavità nascoste dall’edera, ma anche all’interno di oggetti abbandonati come tubature, bottiglie, scarponi e scatoloni. Poi, fra fine aprile e maggio, la femmina depone sei uova marroncino chiaro, che cova per circa due settimane. I pulcini vengono allevati da entrambi i genitori per altre due settimane, pur continuando a lungo a essere nutritianche dopo. Spesso mamma e papà pettirosso fanno una seconda nidiata, e in questo caso il maschio a nutrire gli uccellini.
Come altri insettivori (merli e cinciallegre), vanno ghiotti di frutta candita, semi di girasole e dei pastoncini appositi per uccelli insettivori; ottime le “palle di grasso”, molto energetiche, come pure le briciole di panettone e boscotti. Meglio evitare l il pane, perché riempie il loro pancino senza procurare sufficienti calorie per conservare la corretta temperatura corporea durante la notte. Vietatissimi gli avanzi di cucina come le croste di formaggio, salumi, cibi salati, speziati, conditi.
Ponete il cibo a terra, sul balcone o davanzale, al sicuro dai gatti, dall’autunno fino a primavera inoltrata, quando l’alimentazione artificiale va sospesa, sia perché potrebbe far male ai pulcini, sia perché così gli uccellini saranno spinti a tornare nei boschi dove ricominceranno a cibarsi in modo naturale. E poi, vedrete, l’autunno successivo tornerà da voi…
Infine, se potete, piantare in giardino o inserite sul terrazzo una o più piante di fusaggine (Euonymus europaeus), la cosiddetta “berretta da prete”: in autunno producono capsule polpose che, una volta mature si aprono, lasciando apparire semi rotondi arancio brillante, per mettirossi una vera gourmandise!
(Notizie tratti dal sito della Lipu)
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