Margherite, che passione

Leucanthemum vulgare

Dato il nome che porto, le margherite mi piacciono un sacco, nella loro semplice eppure perfetta bellezza. Del resto, quando sono nata, ad aspettarmi a casa, appesa sulla porta della mia cameratta, c’era un’enorme margherita di stoffa, dono di mio zio Augusto, fratello minore di mio padre. Ancora oggi ricevo regali  e reglaini margheritosi. Insomma, le margherite le amo proprio. In greco e in latino margherita significa “perla”, lo sapevate?

Fiori umili, che crescono nei prati e negli incolti, le margherite sono ricche di grazia, significati e simbologie. Cominciamo dal famoso M’ama, non m’ama, m’ama, non m’ama…” che si recita (alzi la mano chi non l’ha mai fattoi!), nello strappare un petalo alla volta, alla ricerca della fatale riposta. Vi siete mai chiesti come sia nata questa dolce abitudine?

Innazitutto va detto che, nell’antico linguaggio dei fiori, la margherita indica verità, purezza d’animo, innocenza giovanile, modestia, pazienza, riflessione, amore fedele, puro ed eterno. Nel Medioevo la utilizzavano le fanciulle in fiore per rispondere alle dichiarazioni d’amore: se permettevano ai pretendente di ornare il suo blasone con questi fiori, il fidanzamento era cosa fatta e reso pubblico. Se invece se ne ornavano la testa, in coroncine, singnificava che erano dubbiose sull’offerta d’amore ricevuta. Da qui sarebbe nata la tradizione di sfogliare, anzi, spetalare, una margherita come oracolo amoroso: le leggende a riguardo si sprecano, ma la più accreditata l’affida a Margherita di Provenza. Il suo sposo Luigi IX di Francia, durante una crociata, nel 1248, venne imprigionato dai saraceni. Il fratello di lei le regolò una margherita, suggerendole di dire una preghiera per ogni petalo strappato, come intercessione per la scarcerazione dell’amato. La dama ne sfogliò tantissime, fino a quando il re tornò effettivamente a casa: nel vedere la quantità di petali strappati dalla moglia, si intenerì e ordinò di aggiungere tre margherite d’argento sul suo stendardo.

Secondo i Celti, ogni volta che un bambino moriva, Dio faceva fiorire distese di margherite per consolare i genitori, mentre per gli antichi Norvegesi la margherita è il fiore sacro a Freya, dea dell’amore, della bellezza e della fertilità e dunque simbolizza il parto, la maternità e i nuovi inizi.  Shakespeare l’ha utilizzate come simbolo del’innocenza di Ofelia, e Wordsworth  le ha dedicato un poema, “To the daisy”.

Sappiate però che il gioco del M’ama, non m’ama molto probabilmente vi darà una risposta positiva, ma aspettate a gioirne: è la struttura stessa della corolla (anzi, dell’infiorescenza, di tipo a capolino) che lo comporta. La margherita, come molti altri fiori, si attiene alla famosa successione numerica individata dal Fibonacci*, nella quale il numero dei numeri dispari è doppio rispetto a quelli pari: i suoi “petali”, dunque, sono, in genere, dispari. Perciò, se nell’interrogarla si parte dal “M’ama”, le possibilità di ottenere un responso positivo sono notevoli, mentre partendo dal “Non m’ama” aumentano le risposte negative…se non credete, fate qualche prova.

*Sequenza del Fibonacci: tra i più importanti matematici della storia, il toscano Leonardo Fibonacci (1175-1242 circaa), identificò, in un’epoca in cui non conoscevano il numero zero e i decimali, l’esistenza di rapporti precisi fra i numeri, riscontrabili anche in natura. In poche parole, ogni numero corrisponde alla somma dei due precedenti (1-1-2-3-5-8-13, 21, 34, 55, 89…), così come il rapporto tra due numeri contigui tende sempre a 1,619….Inoltre, le proporzioni della sezione aurea (cioè il rapporto tra la diagonale e il lato di un pentagono regolare, già scoperto alla Scuola Pitagorica greca), rappresenta la perfezione estetica in tutte le arti e sono enormemente diffuse in natura, per esempio nelle spirali delle conchiglie, nei petali e nelle foglie di molte specie, nelle infiorescenze del cavolfiore, nelle scaglie dell’ananas e nelle galassie. I cosidetti fiori di Fibonacci sono quelli che possiedono (seppure in media) un numero di petali o altri elementi appartenente alla successione. La margherita comune ha in genere e in medoia 21 petali, la margherita dorata o gialla (Euryops pectinatus) 13, la margherita dei muri (Erigeron karvinskianus)  89.

 

 

 

Ma cos’è, botanicamente la margherita? Diciamo che quella vera e propria appartiene al genere Leucanthemum, famiglia delle Asteraceae, molto discussa, negli ultimi anni, dai botanici tassonomici. Vi sono molte altre specie dai capolini simili che potrebbero essere chiamate margherite, anche diversamente colorate: basti pensare ai generi Tanacetum, Pyrethrum, Rudbeckia, Echianacea, seppure perlopiù diversamente colorate. Ma questa è una mia opinione, che i botanici non insorgano!

Atteniamoci però alle margherite vere e proprie, appartenenti al genere Leucanthemum, fra le quali Leucanthemum vulgare è la più comune e diffusa.

Leucanthemum  deriva dalle due parole greche leukos, bianco,  anthemon, fiore, in riferimento al colore dei fiori ligulati, ovvero i “petali” che circondano il cuore giallo, formato dai piccoli fiori fertili. A proporre questo binomio è stato il biologo, zoologo e botanico francese Jean Baptiste de Lamarck (1744–1829), mentre Linneo, inventore del sistema di classificazione binomia, l’aveva precedentemente battezzata Chrysanthemum leucanthemum.

Il genere comprende 40-50 specie, una decina delle quali apparteneti alla flora spontanea italiana, distribuite in tutta la penosola, con prevalenza nelle zone collinari e montane, perlopiù nei pressi delle abitazioni , nei prati falciati, lungo i bordi delle strade e i sentieri, nei prati a pascolo. Otto, fra cui Leucanthemum vulgare  sono presenti sull’arco alpino.
Erbacea perenne, Leucanthemum vulgare forma fusti allungati, glabri o poco tomentosi, poco fogliosi, alti da 30 a 100 centimetri. Ha un breve rizoma e radici secondarie fasciculate. I fusti sono gracili e flessuosi, percorsi da scanalature rosseggianti. Le fogie, irregolarmente incise e lobate, sono basali e, in minor numero, caulinari. Infine l’infiorescenza: un capolino terminale e unico, sorretto da un calice di squame embricate, formato da fiori esterni ligulati bianchi, disposti a raggera intorno a un cuore di fiori gialli. I fiori del raggio, liguulati, sono femminili e raramente bisessuali),mentre quelli tubolosi del disco centrale sono bisessuali. I capolini hanno la caratteristica, condivisa con le altre specie del genere, di chiudersi nelle giornate umide e fredde, e di notte dopo il tramonto, per riaprirsi al mattino con il sole, perciò gli Inglesi la chiamano eye daisy, occhio del giorno.
Leucanthemum vulgare è originaria dell’Europa settentrionale fino al Caucaso e alla Siberia, si è naturalizzata in America settentrionale e meridionale e in Australia, e in Italia è presente ovunque, anche se è meno diffusa al Sud. Molto rustica, cresce fino a 1800 metri di altitudine, nei prati, ai bordi delle strade, nei boschi radi e nei fossi; ma anche nei campi e colture, in ambienti ruderali e frutteti. Predilige i terreni mediamente umidi e fertili, da calcarei a silicei, a pH neutro.
I capolini delle margherite amanano un caratteristico odore, un po’ acre,, che non piace a tutti, ma a me sì, ma non le foglie, come avviene invece con i Chrysanthemum: questa caratteristica ha fatto in passato da spartiacque fra i due genere.

cccc

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