La collezione di agrumi di Villa Reale di Monza

È stata presentata ad AgruMI, deliziosa manifestazione dedicata agli agrumi, organizzata dai FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) a Villa Necchi, gli scorsi 18-19 febbraio, da Davide Chiaravalli, di Floricoltura Chiaravalli, vivaista con la passione per gli agrumi, e Diego Pessina, botanico e citrologo, entrambi monzesi: la prima parte di quanto sono riusciti per ora a recuperare della collezione storica di agrumi della Reggia di Monza.

La collezione fu avviata nel 1786 dall’arciduca Ferdinando d’Asburgo, governatore di Milano, facendo arrivare 40 piante di limone da Nervi, con un viaggio avventuroso su carri scortati da guardie armate. Gli agrumi erano allora uno status symbol, un lusso costosissimo riservato a re, nobili e grandi signori. Cinque anni dopo, nel 1891, l’arciduca fece costruire per ripararli una grande “citrioniera” nel parco della Reggia, affidandone il progetto all’architetto neoclassico Giuseppe Piermarini, come dono a sopresa alla moglie Maria Beatrice d’Este, per il loro ventesimo anniversario di matrimonio, dopo essere rimasto incantato dalla sontuosa orangerie della sorella Maria Antonietta, a Versailles.

Nel tempo, l’arciduca riuscì a riunire 50 agrumi diversi, rari e particolari, facendoli arrivare in gran parte  dai Giardini di Boboli e, si presuppone, dalla collezione del fratello Leopoldo d’Asbugo-Lorena. Ne vennero redatti diversi cataloghi, fra cui il primo, nel 1805, a cura di Luigi Villoresi, direttore dei giardini reali in epoca asburgica, e l’ultimo, nel 1925, curata dal botanico e allora capogiardiniere Rossi. Fra questi, Citrus hysterix, descritto  soltanto poco tempo primaprima dal botanico ginevrino Pyramus De Candolle; il “limone cedrato di Firenze”, ibrido fra limone e cedro noto già dal 1500; l’arancio amaro salicifolia, dalle foglie lunghe e strette; l’arancio dolce variegato, dalle costolature sulla buccia più scure; l’arancio crispifoglia, dalle foglie arricciate; il “cedro aranciato”, ibrido fra arancio amaro e cedro, conosciut fin dal 1600; e il mandarino (Citrus nobilis), che, originario della Cina, era stato coltivato la prima volta in Italia, nell’Orto Botanico di Palermo, solo nel 1790.

Purtroppo, con l’avvento dei Savoia la grande serra e la sua preziosa collezione sono state abbandonate. Oggi l’elegante orangerie, lunga 100 metri, larga 6 e alta 7, in laterizio intonacato con capriate lignee, è utilizzata per esposizioni.

Per fortuna nel 2015 Davide Chiaravalli e Diego Pessina hanno deciso di provare a far rivivere la collezione dell’arciduca: un progetto non facile, anche perché nel frattempo molti agrumi erano andati del tutto perduti o altri avevano cambiato nome. Con una paziente lavoro di ricerca, fra i cataloghi della Reggia, le piante della collezione del giardino di Boboli a Firenze, le tavole dipinte nel 1600 da Bartolomeo Bimbi per la Villa Medicea di Poggio a Caiano, sono riusciti a recuperarne intanto una trentina, che sono state innestate, secondo le regole dell’Ottocento, e ora fanno bella mostra di sé presso la Reggia.

 

Agrumi di Floricoltura Chiaravalli

Se vi interessa saperne di più, guardate la mia intervista a Francesco Pavesi, giovane agronomo collaboratore del vivaio, in occasione di AgruMI: la trovate sul mio profilo IG italianbotanicaltrips.

 

Inoltre, vi suggerisco due libri molto interessanti a riguardo: Agrumi, Una storia del mondo, di Giuseppe Barbera, Il Saggiatore, appena pubblicato, e Gli agrumi dei Medici, di Francesco Pavesi, da lui stesso pubblicato, acquistabile online presso i vari rivenditori di libir.

 

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